La storia (spesso) vera di Antonio: pagare il doppio per non ottenere nulla!

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Quali sono gli effetti economici del pagare una polizza perché “si deve”? Quanti benefici reali apporta al bilancio aziendale la stipula di contratti assicurativi standardizzati? Quante risorse sta impiegando la tua impresa per gestire contratti (a volte) inutili?

Antonio (nome di fantasia) è un imprenditore del settore metalmeccanico, assieme ad altri 2 soci ha un’impresa di piccole dimensioni (5 milioni di fatturato) nella bassa vincentina.

Un giorno arriva in azienda un assicuratore molto “propositivo”, parente alla lontana di uno dei due soci di Antonio. Il tale, suffragato dal rappresentare una tra le principali Compagnie del mercato, propone all’azienda una rivisitazione totale dei vecchi contratti. “Oggi ci sono soluzioni molto più moderne”, dice con tono perentorio, “Non siamo mica più degli anni ’70!”.

Antonio, che in azienda segue quest’ambito specifico, è un po’ titubante. A lui sembra che questo intermediario sia molto fumo e poco arrosto. Si propone con molta sicurezza di sé, ma sembra più una cosa ereditata da un corso vendite che reale competenza, ed in effetti – oltre a una semplice sbirciata in reparto  produzione – non ha effettuato alcun approfondimento specifico, oltre ai questionari di rito.

Si sa come vanno queste cose: c’è poco tempo e i temi sono ostici. Dannatamente fastidiosi per chi tutto il giorno deve badare a “tirare la carretta”.

L’offerta del nuovo assicuratore in fondo è buona, ha fatto un super sconto.

Antonio firma.

Il fatto

Un giorno nefasto, un macchinario critico (ovvero l’unico macchinario in grado di effettuare una specifica lavorazione, senza il quale buona parte del processo si ferma) si incendia a causa dello sfilamento improvviso di una condotta di supporto, contenente olio bollente in pressione. La tubazione, nel cedere di schianto dalla guarnizione, fa schizzare olio bollente in faccia ai 2 operatori addetti al lavoro a bordo macchina e, finendo su alcune parti elettriche, innesca un incendio.

Un fumo denso e acre si sprigiona in breve tempo nel reparto, prontamente gli addetti antincendio cercano di spegnere le fiamme con l’utilizzo degli estintori presenti, mentre i 2 operai infortunati ricevono i primi soccorsi.

Dopo circa un’ora di fasi concitate l’incendio viene estinto e si cerca immediatamente di valutare il da farsi.

La macchina è fuori uso, è un macchinario particolare acquistato dall’azienda circa 2 anni prima, dotato di specifiche personalizzazioni. Per averne un altro nuovo in funzione occorrono minimo 4 mesi e mezzo; in tempi di pandemia forse ce ne vorranno 6, di mesi. La riparazione si può tentare, ma il quadro elettrico è completamente andato e l’olio è finito ovunque, va completamente smontata e ispezionata.

I due operai fortunatamente hanno salva sia la vita che la vista, ma sono entrambi ricoverati in ospedale con almeno 2 mesi di prognosi per ustioni di secondo e terzo grado su buona parte di viso e collo. Parte d’ufficio la querela per lesioni personali a carico dei datori di lavoro; l’indagine penale aprirà la strada per un’eventuale regresso dell’INAIL e alle ulteriori richieste risarcitore degli operai e delle loro famiglia per quanto non indennizzato dall’assicuratore sociale.

Ma ora Antonio ha altri problemi più contingenti.

L’impresa, infatti, non è più in grado di produrre. Per il macchinario critico si sceglie di percorrere la strada della riparazione; il danno “diretto” al macchinario è valutato sui 15.000 € mentre il danno da fermo attività si stima attorno ai 150.000 €.

Nel frattempo, un cliente che attendeva merci urgenti cambia fornitore e, al girare della notizia nel settore, porta via alcuni altri clienti che – avuta accortezza del guai – si guardano prontamente attorno per non restare “inguaiati” pure loro.

Antonio, che ora deve fare scelte rapide e “cammina sulle uova”, cerca altre aziende che possano nel frattempo sopperire a quella specifica lavorazione. Scopre che si, ce ne sono alcune, ma sono o concorrenti diretti o aziende di settori affini ma non identici; i tempi per riadattare il macchinario alle specifiche esigenze sarebbero maggiori che non riparare quello in casa.

Ecco che, grazie ad alcuni accordi definiti in fretta e furia, si riesce a pattuire con un concorrente un minimo di fornitura – ma costa 3 volte tanto, all’azienda di Antonio. In sostanza, sulle commesse da consegnare, si lavora in perdita. Ma meglio in perdita per una volta che lasciare alla concorrenza i propri clienti! E poi… saremo assicurati, no??

 

Già, e il “nuovo” assicuratore??

Chiamato con urgenza si precipita in azienda e apre subito la pratica di sinistro, tranquillizzando i soci sul fatto che tutto andrà benone – lui ha usato un prodotto di ultima generazione!. Si vengono poi a scoprire 2 cose che fanno tornare alla mente di Antonio alcune recenti considerazioni sull’operato dell’assicuratore:

  1. Il danno indiretto (la perdita di fatturato) è pagabile dalla polizza solo nella misura del 10% di quello diretto, ovvero 1.500 € sui 150.000 € totali. PERCHE’?
  2. Il massimale per la responsabilità civile aziendale nei confronti dei dipendenti è limitato a 1.000.000 €, con 2 operai che certamente riporteranno postumi gravissimi non si è ragionevolmente sicuri di poterci “star dentro”. Ciò potrebbe costare all’azienda di Antonio qualche centinaio di migliaia di €. PERCHE’?

Ai due “perché” è semplice trovar risposta: l’intermediario, invece di analizzare con attenzione i rischi, si è concentrato sul prodotto. Il che è come acquistare un abito perché è bella la stoffa, ma senza badare alle misure.

E’ successo cosi che l’azienda di Antonio ha acquistato una garanzia “danni indiretti a percentuale” pressoché inutile (data la soggettività presente del collo di bottiglia nel flusso produttivo) e ha quindi – alla fine – pagato due volte! Il premio + i danni. Come si direbbe: oltre al danno, la beffa.

Inoltre, non è stato analizzato il fatto che in ambito di responsabilità civile verso terzi è fondamentale ragionare sullo scenario peggiore ovvero, nel caso di Antonio, quello di avere un infortunio plurimo (era possibile, dati i diversi operai contemporaneamente presenti a bordo macchina) e con ustioni – come indicato del Dvr aziendale e come già successo (con esiti molto meno gravi) in azienda, 15 anni prima.

Morale

Perché un imprenditore di PMI non dovrebbe meritare l’approccio qualitativo di una media azienda? I costi tra assicurazioni standard e applicazione di un modello consulenziale sono gli stessi, se non minori – dato che sceglie l’imprenditore stesso cosa finanziare sul mercato e cosa no – QUINDI COME FARE?

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Nicola Massagrande