Perché (NON) ci assicuriamo?

Premetto che il seguente articolo non vuole e non può essere una rigorosa disamina storica/sociologica che indaghi sulle cause della malattia da sottoassicurazione che affligge molte parti del nostro paese. Lo scopo prefissato è quello di fornire una sintetica interpretazione atta a spiegare la patologia e a spazzare via alcune errate convinzioni o pregiudizi.

I numeri non mentono

Da una lettura dei dati sconfortanti della distribuzione regionale delle polizze non auto nelle famiglie italiane, si evidenzia una scarsa sensibilità assicurativa piuttosto diffusa.

Le uniche due regioni che possono essere considerate sensibili rispetto al nostro tema sono il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia.  Il resto dello scenario è piuttosto sconfortante.

Analizzando meglio i dati, se in termini di macro aree i il divario tra il nord e sud appare incolmabile, date le percentuali da “zero virgola” in molte regioni del sud, anche nelle varie aree appaiono evidenti contrasti.Per il nord spiccano i  dati decisamente negativi di Veneto e Liguria, mentre per il centro emerge, in positivo, l’Umbria. Il sud, nella sua sconfortante omogeneità  porta un paio di dati interessanti. La Sicilia e la Puglia, che pur nella totale desolazione del panorama assicurativo del mezzogiorno italiano, presentano dati, relativamente, molto più elevati. Viceversa in Calabria il mercato assicurativo non auto per le famiglie è praticamente inesistente.

Fatta la conta e definiti i “più buoni” e i “più cattivi” proviamo ad individuare alcuni fattori storici e sociali che possano spiegare, almeno in parte, questa situazione.

Il falso “mito”

Ho deciso di partire cercando di sfatare un’opinione che appare piuttosto diffusa se si leggono analisi o commenti (nei social) dei dati soprariportati. Il welfare state o “stato sociale” non è sicuramente una causa di questa patologia. Anzi vale l’esatto opposto.

Se abbiamo un briciolo di cultura assicurativa in Italia lo si deve proprio all’introduzione di misure di welfare, quali le assicurazioni sociali obbligatorie che hanno iniziato ad essere introdotte fin dalla fine del ‘800.

La confusione e la connotazione politica e/o politicizzata che si associa alle misure di welfare portano a credere in modo superficiale e poco attento che se si introducono maggiori misure di tutela pubblica debba esserci uno scollamento ed un disinteresse verso le forma di tutela private.

La cosa è smentita dal fatto che nei paesi dove è più sviluppato il welfare, le assicurazioni private godono di ottima salute e le coperture personali sono decisamente più diffuse (si veda a tal proposito QUESTO studio).

 Tanto non succede a me

Confutato il fatto che un maggior intervento dello stato non sia necessariamente negativo nei confronti della diffusione delle assicurazioni private, il problema della scarsa attenzione rispetto alle coperture assicurative del popolo italiano appare legato maggiormente ad altri fattori che vanno rintracciati, a mio parere, in elementi storici e sociali peculiari:

  • Il fattore religioso
  • L’assistenzialismo e il sistema clientelare

Che l’istituzione religiosa sia profondamente connessa ad aspetti economici ed ai comportamenti che scegliamo di adottare o meno è dato ormai assodato e fonda le sue basi in studi sociologici classici come “L’etica protestante e lo sviluppo del capitalismo” di Max Weber .

Il fatto di considerare eventi eccezionali come derivanti dalla volontà divina (o comunque esterna) e quindi gestibili preventivamente attraverso “buoni esercizi spirituali” spiega in modo piuttosto chiaro il carattere fatalista e spesso superficiale che definisce molti comportamenti di noi italiani. Oggi magari si è evoluto e si è staccato dal carattere spiccatamente religioso  ma resta profonda nella nostra cultura la convinzione che se proprio succederà qualcosa poi qualcuno ci penserà. Fino a pochi anni fa era proprio l’istituzione religiosa a gestire le emergenze. La divina provvidenza….

E se succede?

Con il passare del tempo e i processi di secolarizzazione si è poi sviluppato il secondo fattore che spiega il carattere patologico della sottoassicurazione italiana. Mi riferisco ad una forma piuttosto pervasiva di assistenzialismo connesso al sistema clientelare  ancora molto diffuso nel nostro paese.

Con il passare del tempo l’istituzione religiosa ha perso molte delle caratteristiche previdenziali strettamente sociali ed emergenziali ed ha lasciato il passo ad uno Stato che spesso ha agito non sulla pianificazione, ma sull’urgenza. Questo ha mantenuto viva la convenzione del “se succede qualcosa qualcuno ci penserà” e, contemporaneamente,   ha generato dei grossi problemi di carattere economico.

Finché le istituzioni politiche hanno potuto elargire rassicurazioni, assicurazioni e vantaggi a destra e a manca, il sistema, basato su una serie di reciproci “favori” che garantivano voti, stabilità politica e benefici diffusi, ha retto ed ha garantito un deciso e diffuso benessere. Da nord a sud, in regioni bianche, rosse o di qualsiasi altro “colore”. Da circa 20 anni la situazione è gradualmente ma decisamente mutata. Ed è altamente probabile che l’ombrello, oramai di tela consunta, dello Stato non riesca più a garantire interventi efficaci e che le persone comincino a ragionare in termini più specifici e meno fatalistici.

Non è un caso che l’unica regione italiana che supera il 50% di diffusione di polizze non auto sia il Trentino Alto Adige, una regione dove il territorio ristretto e la presenza di una cultura comunitaria forte a tutela dell’interesse comune ha permesso, per primo in Italia, lo sviluppo di un sistema di mutue che è poi confluito a costituire la Compagnia odierna “ITAS MUTUA ASSICURAZIONI”. Forte e fondamentale, in questo caso peculiare, è stata anche l’influenza della cultura mitteleuropea di stampo teutonico che, per prima nell’Europa moderna ha mutato il rapporto con l’istruzione religiosa e il distacco tra i “fatti materiali” e i “fatti spirituali”.

Noi e le assicurazioni   

In conclusione, l’unico modo per poter aumentare la sensibilità del nostro popolo rispetto ai temi assicurativi, da nord a sud, sia connessa ad un maggiore coinvolgimento delle persone nella cosa pubblica, non solo e non tanto per proprio interesse e/o per autotutela, ma per permettere di sviluppare quel senso civico oggi disperso e l’idea che se ci si tutela per se stessi lo si fa anche per tutelare gli altri. In questo modo la cultura assicurativa potrebbe non essere solo connessa a fatalità imprevedibili (cui qualcuno penserà) ma a dei fatti possibili che con la corretta pianificazione possono essere limitati e controllati. Questo per rendere più serena e sicura la vita di noi stessi e delle nostre comunità.

La sicurezza sociale in termini politici non può e non deve essere una semplice questione di prevenzione della criminalità o di fatti illeciti ma deve anche permettere una consapevole analisi dei rischi e degli eventi che possono avere conseguenze negative per noi e per chi ci sta intorno.

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